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Clik here to view.Rieccomi per l’esperienza numero otto – si partì come Nuovo Cinema Locatelli nel 2012 – al festivalissimo, insomma a Cannes, le olimpiadi, o i mondiali, del cinema, come amano dire gli americani, e se lo dicono loro che hanno gli Oscar. L’appena dipartita e molto rimpianta Agnès Varda si issa giovane e energica nella bell’affiche di questa edizione 72 (nella speciale guerra dell’immagine-logo Cannes stravince regolarmente su Venezia) sulla schiena di un paziente collaboratore per riprendere al meglio una scena del suo primo e ignoto ai più lungometraggio La Pointe Courte (anno 1955!). Virata in giallo, giustamente, acciocché ogni passante cinefilo o meno ne resti abbagliato e sia indotto a fermarsi come da un’apparizione luminosa della Madonna (maiuscola). Ai piedi del grandioso manifesto che sovrasta le entrate del Palais e pare presidiarle più della pur nutrita security, la gente si aggira senza una meta e una direzione, nel solito clima sospeso del prima, prima del grande gioco: che parte stasera con la proiezione in gran pompa francese – ora e sempre Versailles! – del nuovo Jim Jarmusch The Dead Don’t Die, I morti non muoiono, con zombie si presume assai chic e aristocraticamente sfiniti e languidi come i vampiri del suo meraviglioso Only Lovers Left Alone che qualche anno deflagrò a sorpresa proprio qui. Lascio a coloro che di celeb e red carpet si occupano enumerare chi salirà la montée de marche (intanto diciamo Adam Driver e Tilda Swinton) per la cérémonie d’ouverture officiata come l’anno passato dal noto e stimato attore – in Francia – Edouard Baer, da noi pressoché sconosciuto. Uomo di modi signorili versato professionalmente in comédie di una certa eleganza, quindi si attende una conduzione insieme brillante e educata.
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prove sul red carpet
Tra gli accreditati stampa – ho l’impressione, ma forse è un wishful thinking, che siano in lieve calo rispetto agli anni precedenti – intanto si mugugna e ci si inquieta, soprattutto tra i gradi bassi del badge (sopra ci stanno gli insigniti del colore bianco, i boss della critica internazionale, sotto i gialli, la categoria ammessa per ultima in sala e dunque destinata a soffrire in lunghe code sotto il sole o l’acqua, e tra i due estremi i rosa pastillé, i rosa, i blu) dopo l’ennesima riforma del programma del press screenings. L’anno scorso furono clamorosamente abolite le anticipate stampa per bloccare i leaks via rete con giudizi demolitivi nei confronti di film che ancora dovevano essere dati in proiezione ufficiale: giornalisti web e cartacei furono costretti per scontare i loro peccati a proiezioni successive alla prima affinché produttori, attori, autori potessero salire la montée de marches senza piangere per precedenti e veementi stroncature. Come se un film brutto di suo potesse migliorare ritrardando il rilascio dei giudizi negativi. Fu una rivoluzione per fortuna non adottata dagli altri festival. Quest’anno, dopo le accalorate e talvolta infuocate proteste soprattutto da parte della stampa parigina (la quale non ha mai amato di vero amore il delegato generale Thierry Fremaux: ricambiata in feddezza, come si deduce leggendo il memoir dello stesso Frémaux Sélection Officielle), c’è stata un’altra riforma del calendario press, benché non della stessa portata dell’anno scorso. Si ripristinano in alcuni casi le anticipate per giornalisti (negli altri si va in contemporanea), ma solo di un paio d’ore, con l’embargo severissimo di non scriverne o darne notizia e giudizio sui social fino a screening ufficiale terminato, e ai trasgressori ritiro immediato del badge (abbiamo tutti dovuto firmare il nostro solenne impegno a rispettare le regole). Malumori da parte dei quotidianisti cartacei perché le anticipate del pomeriggio non daranno loro il tempo di scriverne, visto che i giornali, quei pochi che ancora faticosamente si reggono in piedi in edicola, chiudono al più tardi alle dieci di sera. Gli altri, i non cartacei, si preoccupano invece che nella stesura del complesso palinsesto sia sparita la terza proiezione stampa che l’anno scorso tanti problemi aveva loro risolto ampliando i posti a disposizione (il numero limitato delle sale, con la strozzatura dell’ormai vetusto e angusto Palais, è il vero problema del festival). Oltretutto molte proiezioni stampa sono alle 22 e 22,15. Che già si trema all’idea del nuovo e molto atteso Kéchiche Mektoub My Love: Intermezzo della durata annunciata di 4 ore: comincerà alle 10 di sera e fate voi i conti di quando si potrà finalmente andare a dormire (e la mattina dopo la giostra ricomincia a girare alle 8,30 con altri film). Ne prendano nota tutti gli odiatori delle varie caste, vere o supposte, e dunque anche odiatori indefessi dei giornalisti accreditati a Cannes da loro ritenuti dei privilegiati: vengano loro per un paio di giorni di prova con badge blu o giallo, capiranno come possa essere amara la vita.
Mentre i cinefili si arrovellano sul come trovare uno slot nella propria agenda per il nuovo Lav Diaz, durata quattro ore ovviamente (certo, già meglio delle sue otto abituali), dato alla Quinzaine des Réalisateurs, o per incastrare il culto annunciato The Lighthouse dell’americano Robert Eggers (ancora Quinzaine), infuria sui media il solito scandaluccio o polemichetta della vigilia. Che stavolta ha per bersaglio l’iconico Alain Delon, 83 anni non benissimo portati (dov’è finita tanta divina bellezza?), cui sarà assegnata in corso di festival la Palma d’oro alla carriera, e chi se la merita più di lui? Viene anzi da chiedersi come mai si si sia aspettato tanto. Bene, dal fronte metooista e dintorni, più precisamente da un’associazione chiamata Women and Hollywood arriva, per voce della sua fondatrice Melissa Silverstein, l’indignata protesta contro il Rocco di Visconti, il Samurai di Melville, per le sue dichiarazioni passate – e aggiungo io presunte – maschiliste, omofobe, front-nazionaliste ecc. Non dategli quella palma, si urla dall’altra parte dell’Oceano. Ma ci rendiamo conto? Trattasi di Alain Delon, una leggenda, e lo si vorrebbe escludere da Cannes per reati (sempre che si tratti di reati: quantomeno si dovrebbe procedere a una seria e circostanziata verifica) d’opinione?
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Agnès veglia e sorveglia
Stasera tra i giurati vedremo sfilare sul palco del GTL anche Alice Rohrwacher (si sa, Cannes i registi prima li mette in concorso, qualche volta li premia e poi nelle edizioni seguenti li mette in giuria: non si butta via niente, una macchina perfetta che si autoalimenta e si autocelebra. Difatti stavolta ci sono Pavel Pawlikowski, Yorgos Lanthimos e Robin Campillo con Inarritu presidente, tutti variamente presenti una o più volte nelle passate edizioni), e sarà uno dei pochi segni di Italia in questo festival. Solo un nostro film in concorso, Il traditore di Marco Bellocchio su Tommaso Buscetta (il buzz non è così favorevole: staremo a vedere). Quanto al film animato di Lorenzo Mattotti a Un certain regard, La famosa invasione degli orsi in Sicilia tratto da Dino Buzzati, “è una produzione francese, di italiano non ha niente”, come mi ha detto un rispettato PR del ramo. Per fortuna c’è Luca Guadagnino alla Quinzaine con un corto-medio di 35 minuti sul mondo della moda, The Staggering Girl, con Julianne Moore e Alba Rohrwacher: immancabile a ogni festival, da Venezia a Cannes a Berlino. Stasera via con la visione, aspettando i pesi massimi dei prossimi giorni (Tarantino, Malick, Dolan, Dardenne, Kéchiche, Almodovar) e le possibili sorprese. Aspettando anche una Quinzaine, rassegna indipendente dal festival, con alla guida per la prima volta un italiano, Paolo Moretti, e con un programma assai promettente: Bonello, Dupieux, Eggers, Zlotowski. E ancora: la Semaine de la Critique (pure indipendente dal festivalissimo). Chissà mai che stavolta riesca finalmente a vedermi qualcosa di ACID, il quarto Cannes (dopo il festival ufficiale, la Quinzaine des Réalisateurs e la Semaine), rassegna dedicata alla scoperta e alla promozione del cinema più orgogliosamente indipendente. (Mentre scrivo do un’occhiata agli schermi che trasmettono la conferenza stampa della giuria. Chiedono a Elle Fanning “in quanto rappresentante dei giovani” cosa pensi del festival, chiedono a Inarritu “come si sente a essere il primo presidente di giuria latinoamericano”, ancora a Inarritu cosa pensi lui messicano del famoso Muro trumpiano. A questo punto scappo via. Possibile che le conferenze stampa siano sempre così vacue? Avevo scritto sceme, poi ho corretto. Ed è così a tutti i festival, mica solo a Cannes.)